Sapete quanto dura davvero la batteria di una vettura elettrica? Dai dati emersi da recenti studi viene fuori una scoperta scioccante.
C’è ancora tanta curiosità ma soprattutto, poca conoscenza intorno all’elettrico inteso come mondo nuovo per i mezzi di trasporto. Le auto elettriche un giorno cammineranno senza rivali per le strade di tutto il globo, mentre per ora ibride e a combustione tengono ancora il passo. Il futuro comunque è green ed è giusto conoscere a fondo, sempre più gli aspetti delle nuove vetture.
Al momento, anche in Italia il fenomeno delle vetture elettriche ha preso piede anche se non con percentuali altissime. Si sa che chi compra una vettura vuole essere sicuro che questa gli consenta di avere con sé per anni diversi fattori, tra cui l’affidabilità e se un guidatore non è sicuro di quello che sta andando ad acquistare, preferisce attendere tempi migliori.
Scoperta shock: quanto dura davvero
Per ora però ci sono cose già studiate che semplicemente gli automobilisti non sanno. Basta informarsi per esempio, per sapere qual è la reale durata della batteria di una macchina elettrica. Una risposta, l’ha già data un italiano, il chimico e dirigente di ricerca del CNR, direttore della rivista Sapere e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Nicola Armaroli.
L’italiano ha avuto modo di spiegare a tutti gli interessati, i concetti dei suoi studi attraverso le pagine del Corriere della Sera. In pratica, spiega Armaroli, se ben curata una batteria ha la capacità di essere usata senza sostituzioni anche per tutta la vita dell’auto. Una volta fermata però per la sua funzione principale, la batteria ha una nuova vita? La risposta è affermativa e l’esperto ha spiegato cosa succede.
“Le batterie esauste di un’auto possono lavorare diversi altri anni come stoccaggio di impianti di produzione elettrica rinnovabile intermittente o in sistemi di bilanciamento della rete o in veicoli di prestazione energetica inferiore, come carrelli elevatori nei magazzini delle aziende, per i quali un livello di ricarica del 70-80% è ancora più che valido“, ha spiegato il chimico.
Ancora, l’italiano fa poi un passaggio sui materiali. Spiega infatti che ad esempio la metà del cobalto estratto nel mondo vada proprio a finire nelle batterie di piccole dimensioni come quelle di cellulari, pc, tablet e la denuncia finale di Armaroli fa riflettere: “È curioso che questo fatto non venga mai adeguatamente sottolineato: forse perché lo smartphone lo abbiamo tutti e in questo caso lo sfruttamento dei lavoratori nelle miniere passa in secondo piano”.