Molti costruttori dovranno fare a meno degli importanti incentivi per le auto elettriche. Ecco cosa è successo.
E’ cosa nota che i veicoli elettrici siano costosi. Lo sono per l’utente finale, quanto per chi li produce. Questo è dovuto perlopiù alle batterie che essendo voluminose, prevedono un uso massiccio di materie prime difficili da reperire se non in alcuni territori. Altrettanto noto è il fatto che le zone che sono ricchi di tali materia siano in Asia, motivo per cui si è creata una pericolosa dipendenza, che ha inevitabilmente influenzato negativamente l’automotive occidentale.
Per far fronte a tale situazione l’America è intervenuta in maniera drastica, a differenza dell’Europa che ancora resta a guardare non fosse che per qualche colosso più intraprendente come Volkswagen, deciso a farsi tutto in casa.
Per farlo il Governo locale ha cercato di aiutare i produttori in patria, così da scoraggiare gli utenti ad acquistare mezzi realizzati specialmente nel Paese del Dragone.
Adesso però Joe Biden ha scelto di correggere parzialmente la rotta e di mettere un veto. D’ora in avanti qualunque Casa utilizzi batterie cinesi non potrà accedere ad alcuna agevolazione. Si tratta di un provvedimento non poco importante, in quanto i numeri dei costruttori statunitensi pronti a mettersi in commercio con i cinesi per abbassare i costi sono in costante crescita.
Dunque, affianco all’Inflation Reduction Act è stato introdotto lo stop al bonus di 7.500 dollari per tutti coloro che compreranno veicoli a zero emissioni con accumulatori creati nei cosiddetti “foreign entity of concern”. E quali sarebbero queste “entità straniere”, vi chiederete.
Essenzialmente tutti gli storici oppositori dell’America, quindi non solo la Cina, ma pure la Russia, la Corea del Nord e l’Iran.
Dunque, d’ora in poi qualunque costruttore desideri accedere agli aiuti governativi dovrà dimostrare di non fare utilizzo di minerali e terre rare provenienti dalla nazioni citate. Stando alla situazione attuale, le aziende che più verranno colpite saranno Ford e General Motors, oggi clienti affezionati dei cinesi.
Va fatta comunque una precisazione. In teoria il Presidente statunitense avrebbe voluto usare ancora di più il pugno di ferro, dopo che già nel recente passante il predecessore Donald Trump aveva fissato dei dazi molto elevati ai danni dei prodotti importanti dalla patria di Mao, ma il Dipartimento del Tesoro, assieme all’Associazione Costruttori (la Alliance for Automotive Innovation), hanno spinto affinché la linea fosse resa meno rigida.
Per questo sono stati esclusi dalla messa al bando quei materiali critici, pari al 2% di quelli necessari per la messa in opera di un’automobile, reperibili soltanto in Asia. Ne consegue che il piano di ricerca dell’indipendenza è parzialmente fallito. Ancora per qualche anno l’oriente occuperà una posizione di forza incontrastata, sia nel Nuovo Continente, che appunto come abbiamo visto ha provato a mettere dei paletti, sia nel Vecchio, dove la sudditanza è ancora più consistente nel suo complesso, anche perché alcune delle nostre nazioni, dove gli stipendi sono molto bassi come ad esempio l’Italia, sono attratti dai prezzi contenuti che i veicoli asiatici offrono, seppur magari a scapito della qualità.
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